Ti è mai capitato di provare disagio o nausea guardando immagini con buchi o pattern ripetitivi, come un alveare, delle bollicine ravvicinate, o i semi di un fiore? Se la risposta è sì, sappi che non sei solo. Questa reazione, che per molti è sorprendentemente intensa, ha un nome: tripofobia.
Sebbene non sia ancora riconosciuta come disturbo clinico nel DSM-5, questa sensibilità colpisce circa il 10-18% della popolazione, scatenando risposte fisiche ed emotive intense come prurito, brividi, ansia o disgusto.
Con l’aiuto della dott.ssa Primi, oggi, conosceremo più da vicino la tripofobia in tutte le sue sfaccettature:
- Cause e sintomi: Perché alcune immagini turbano e come si manifesta la tripofobia.
- Diagnosi e criteri: Differenze tra sensibilità visiva e fobia clinica.
- Strategie di gestione: Tecniche come desensibilizzazione sistematica, terapia cognitivo-comportamentale (CBT) e mindfulness per ridurre l'impatto.
Che cos'è la tripofobia e perché si manifesta?
La tripofobia è letteralmente la “paura dei buchi”, come suggerisce il significato etimologico di origine greca trýpa, «buco» e phóbos, «paura».
Sebbene non sia ufficialmente riconosciuta come un disturbo psicologico a sé stante nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5), sono molte le persone che riportano reazioni di avversione, disagio o addirittura panico nei confronti di immagini o oggetti caratterizzati da fori o bulbi ravvicinati si tratta dunque di una problematica reale, concreta di cui negli ultimi anni si parla sempre più spesso.
Qual è il significato della tripofobia secondo la psicologia?
La presenza della parola “fobia” però può ingannare perché non sempre la tripofobia rappresenta una fobia in senso clinico, più spesso si tratta di una sensibilità visiva estrema. In altre parole, è come se il cervello percepisse questi pattern come “sbagliati” o pericolosi, anche se non lo sono affatto.
Per poterla invece considerare clinicamente una fobia specifica deve soddisfare tutti i 7 criteri individuati dal DSM:
- Paura che perdura nel tempo (per un periodo di più di 6 mesi);
- La reazione avviene rispetto a qualcosa di specifico;
- Lo stimolo innesca una reazione immediata;
- Le reazioni (paura, ansia ecc…) risultano spropositate rispetto l’effettiva minaccia;
- Si evita attivamente lo stimolo oggetto della fobia;
- L’evitamento o l’ansia hanno ripercussioni sul funzionamento sociale (ad esempio se si evita di guidare perché la reazione di fronte ai diodi luminosi e tondeggianti delle indicazioni del semaforo diventa insostenibile);
- Ansia o panico legati allo specifico oggetto o situazione non sono spiegabili dalla presenza di altri disturbi psichici.
Considerare in primis queste sostanziali differenze e caratteristiche può aiutarti ad affrontare questo disagio in maniera più consapevole e a comprenderne meglio la natura e le origini.
Da dove nasce il disagio verso i pattern visivi ripetitivi?
Ti chiedi perché delle semplici immagini siano in grado di provocare reazioni così intense?
La risposta potrebbe trovarsi nella nostra evoluzione biologica.
Secondo alcune ricerche, il cervello umano reagisce in modo negativo a determinati pattern visivi perché li associa a situazioni potenzialmente pericolose. Ad esempio:
- Fori nella pelle possono ricordare malattie infettive;
- Alcuni funghi velenosi o animali pericolosi (come certi insetti o rettili) presentano pattern simili o con trame ripetitive;
- I coralli o certe larve possono evocare repulsione perché legati a potenziali pericoli.
In un certo senso è come se fossimo programmati da un punto di vista evolutivo per percepire come minacciosi e disturbanti determinati stimoli visivi, anche quando non rappresentano un pericolo reale. Una sorta di meccanismo interno ancestrale di sopravvivenza.
Perché alcune immagini ci fanno provare disagio o paura?
Ti è già capitato di dover distogliere lo sguardo da un’immagine ricca di pattern ripetitivi perché ti causava disgusto o inquietudine? Magari si trattava di un semplice sfondo su un pc, eppure in grado di trasmetterti un certo disagio.
Questo avviene quando i tuoi occhi mettono a fuoco immagini disturbanti che scatenano la tripofobia a cui il tuo cervello reagisce innescando meccanismi specifici.
Non lasciare che la tripofobia limiti la tua vita
Cosa succede nel cervello quando vediamo immagini tripofobiche?
Il sistema limbico, una parte del cervello coinvolta nelle emozioni, nella memoria e nelle reazioni di sopravvivenza, gioca un ruolo chiave in questo processo di elaborazione. In particolare, l'amigdala, spesso associata alla gestione della paura e del disgusto, potrebbe attivarsi proprio in risposta a questi stimoli visivi che vengono percepiti come "anomali".
È quindi una reazione involontaria e automatica, che può manifestarsi con sintomi fisici anche quando sai razionalmente che non c’è nulla di pericoloso in quelle immagini.
Quali sensazioni fisiche o emotive sono comuni?
Chi sperimenta la tripofobia racconta spesso intense sensazioni fisiche alla visione delle immagini tripofobiche. Tra le più comuni ci sono:
- Prurito improvviso;
- Brividi o pelle d’oca;
- Nausea o senso di disgusto;
- Tensione muscolare o ansia
- Un forte bisogno di distogliere lo sguardo;
- A volte tachicardia, senso di agitazione.
In molti casi le suggestioni dal punto di vista sensoriale possono essere particolarmente realistiche e disturbanti. Dopo aver visto immagini per esempio di buchi o riflessi sferici sulla pelle o i tanti buchi di una spugna, potresti aver provato la vivida sensazione che qualcosa ti stesse realmente strusciando addosso, arrivando a percepire fisicamente formicolio o prurito.
Oppure ti è stato impossibile mangiare o addirittura guardare un pezzo di formaggio, delle fragole o una barretta di cioccolato per via dei buchi e dei blocchi ripetuti sulla loro superficie.
Ti è mai capitato di sperimentare qualcosa di simile? Magari ti sei sentito strano ma come stai scoprendo in questo articolo si tratta di una reazione più frequente di quanto immagini.
La tripofobia è una vera fobia o una reazione normale?
Gli studi scientifici sul fenomeno della tripofobia sono in aumento e stanno cercando di capire meglio le sue basi neurologiche e psicologiche, statisticamente è una esperienza che coinvolge circa il 10-18% della popolazione.
Abbiamo visto anche nei paragrafi precedenti che la tripofobia non è presente del DSM-5 e anche che per definire una vera fobia è necessario che questa soddisfi dei criteri ben precisi.
È una condizione clinica o solo sensibilità visiva?
La distinzione chiave sta nel comprendere la differenza tra una fobia in senso stretto, che implica una paura irrazionale e debilitante che interferisce significativamente con la vita quotidiana, e una reazione percettiva intensa. Nel caso della tripofobia, per molti si tratta più di un momentaneo e forte senso di disgusto o repulsione, accompagnato da brividi o pelle d'oca, piuttosto che una paura paralizzante o a forme di ansia anticipatoria.
Tuttavia, ciò non sminuisce la validità dell'esperienza di chi la vive, ma è più corretto considerarla nella maggior parte dei casi una forma di forte sensibilità visiva.
Esiste una relazione con altri disturbi come DOC o ansia?
In alcuni casi le persone che soffrono di disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) o ansia generalizzata riferiscono anche reazioni più forti alla tripofobia.
Non si tratta però di una connessione diretta o universale: la tripofobia può presentarsi anche in assenza di altri disturbi mentali. Altri studi stanno esplorando possibili correlazioni, ma non esistono ancora certezze a riguardo.
Ogni persona è unica, e la reazione tripofobica può essere autonoma o parte di un quadro più complesso, per questo quando il disagio è molto intenso confrontarsi con un esperto come uno psicologo è la scelta più indicata.
Come capire se soffri di tripofobia?
Vorresti capire se soffri realmente di tripofobia?
Prova a soffermarti per un qualche istante sulle tue reazioni ad immagini come: un favo d’api, tanti semi ravvicinati, fori sulla pelle, una spugna naturale con i suoi fori e le protuberanze. Che sensazioni proveresti?
Sintomi tipici: come si manifesta
Nel caso di tripofobia i sintomi tipici sarebbero:
- Disagio o repulsione: Una forte sensazione di avversione o fastidio immediato alla vista.
- Reazioni fisiche: Nausea, prurito, brividi, pelle d'oca, sensazione di formicolio, o persino mal di testa.
- Reazioni emotive: Ansia, irritazione, panico, o la necessità impellente di distogliere lo sguardo.
Provare questo genere di disturbi in risposta a determinati stimoli visivi, potrebbe indicare la presenza di fenomeni di tripofobia.
È utile fare un test online?
È facile imbattersi in test di tripofobia online, che sottopongono gli utenti a immagini disturbanti per verificarne la reazione.
In realtà bisogna ricordarsi che si tratta di test indicativi che non sostituiscono una valutazione professionale. Possono aiutarti però a capire se il tuo disagio è realmente associato alla tripofobia o se sensazioni che hai provato intensamente in precedenza si ripresentano allo stesso modo guardando immagini tripofobiche.
Se però anche dopo un test online il tuo dubbio è ancora: ho realmente la tripofobia? Prova a chiarire meglio ciò che senti con l’aiuto di uno psicologo.
Quando parlarne con uno psicologo può fare la differenza
Se la tua sensibilità visiva interferisce con la vita quotidiana o ti provoca forte ansia, magari eviti certi luoghi per non vedere particolari immagini o oggetti con pattern che richiamano ad immagini tripofobiche, parlarne con uno psicologo può essere molto utile.
Uno specialista può aiutarti a:
- Comprendere in profondità il perché della tua reazione;
- Gestire il disagio in modo pratico;
- Ridurre l’impatto del fenomeno sulla tua persona.
Ricorda che non è necessario avere un disturbo psichico per chiedere aiuto.
Parla online con i nostri psicologi liberamente, perché anche una reazione intensa e isolata merita ascolto, soprattutto quando ha un forte impatto su di te e sulla tua vita.
È possibile affrontare e superare la tripofobia?
Tecniche psicologiche utili: desensibilizzazione e gestione
Ci sono strumenti notevolmente efficaci per gestire e superare la tripofobia.
Ecco alcune tecniche maggiormente usate in psicologia:
- Desensibilizzazione sistematica: esposizione graduale a immagini disturbanti in contesto protetto e con accanto un professionista;
- Terapia cognitivo-comportamentale (CBT): identificare e ristrutturare i pensieri legati al disagio;
- Mindfulness e respirazione: per regolare la risposta emotiva automatica collegata alle immagini tripofobiche;
- Tecniche di rilassamento e auto-osservazione.
L'obiettivo comune di queste tecniche è fornirti gli strumenti per ridurre l'intensità della tua reazione e aumentare la tua capacità di gestire il disagio quando si presenta.
La fobia dei buchi si può curare?
La fobia dei buchi si può affrontare e, in molti casi, superare. Non si tratta per forza di “eliminare” questa tua particolare sensibilità, ma di accettarla, comprenderla e gestirla in modo sano.
Con un percorso psicologico costruito sulle tue esigenze individuali, le immagini tripofobiche possono perdere il loro potere disturbante e tu puoi acquisire una maggiore consapevolezza di te.
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Accettare e normalizzare la propria sensibilità
Un passo fondamentale nel processo di gestione della tripofobia è l'accettazione e la normalizzazione della propria sensibilità. Molte persone vivono come te questo tipo di reazione, e non c'è nulla di "sbagliato" o "anormale" nel provarla.
Accettare questa sensibilità visiva come parte di te stesso e lavorare, meglio se con accanto un professionista come uno psicologo, per gestirne gli aspetti più scomodi, è la chiave per viverla finalmente in modo più sereno e consapevole.
Domande frequenti sulla tripofobia
La tripofobia può peggiorare con il tempo se non trattata?
Sì, in alcune persone i sintomi possono intensificarsi se ignorati, soprattutto in situazioni di stress o ansia non gestita.
La tripofobia nei bambini si manifesta in modo diverso rispetto agli adulti?
Nei bambini si osservano più spesso reazioni immediate di paura o disgusto, mentre negli adulti prevalgono ansia e disagio emotivo.
Esistono test clinici o psicologici affidabili per diagnosticare la tripofobia?
Non esistono test clinici ufficiali, ma uno psicologo può valutare sintomi e impatto sulla vita quotidiana attraverso colloqui mirati.
La tripofobia è collegata ad altri disturbi come ansia, DOC o fobie specifiche?
Può presentarsi insieme ad ansia o disturbo ossessivo-compulsivo, ma non sempre: ogni caso va valutato individualmente.
Chi soffre di tripofobia deve sempre ricorrere a una terapia?
Non sempre: se i sintomi sono lievi si può convivere con la sensibilità, ma la terapia aiuta quando il disagio è più forte.
Quali strategie quotidiane possono aiutare a convivere con la tripofobia?
Tecniche di rilassamento, mindfulness e l’evitare esposizioni improvvise possono ridurre l’impatto nella vita quotidiana.
La sensibilità visiva tipica della tripofobia può influenzare la vita sociale o lavorativa?
Sì, in alcuni casi porta ad evitare ambienti o attività, limitando relazioni e benessere professionale.























