Le nostre debolezze ci forgiano, ci insegnano a chiedere aiuto, ad essere umili e ad ammorbidire il cuore, per sentire l'amore attorno a noi. Il valore della fragilità è un tema di grande rilevanza, specialmente in un mondo in cui spesso si celebra il successo e la forza. Rivendicare la possibilità di fallire e riconoscere la fragilità può portare a numerosi benefici, sia a livello personale che collettivo. Ecco alcuni aspetti chiave.
Accettazione della vulnerabilità
Riconoscere che la vulnerabilità è parte integrante dell'esperienza umana aiuta a costruire una cultura dell'accettazione e della comprensione. Chiunque può affrontare difficoltà e accettarlo crea connessione tra le persone.
Ammettere la possibilità di fallire libera gli individui dall’onere di dover sempre apparire forti e competenti, permettendo una maggiore autenticità.
Ogni fallimento è un’opportunità per imparare e migliorarsi. Analizzare ciò che non ha funzionato può portare a una maggiore consapevolezza delle proprie capacità e limiti.
Affrontare situazioni difficili e uscire da esse rafforza il carattere. La resilienza si sviluppa attraverso esperienze di fragilità e sfide.
Rivendicare la possibilità di fallire incoraggia le persone ad assumere rischi calcolati senza timori paralizzanti. Questo può portare all'innovazione, alla creatività e alla crescita personale e professionale.
Vivere una vita più autentica
Sapere che il fallimento è una possibilità, può spingere le persone ad agire, mettere in pratica idee o progetti senza paura del giudizio.
Condividere la nostra vulnerabilità ci permette di sentirci più a nostro agio, favorendo relazioni più profonde con gli altri basate sull'autenticità.
Vista come una forza anziché una debolezza, la fragilità crea spazi sicuri per discussioni aperte su emozioni ed esperienze.
La società spesso enfatizza storie di successo straordinario trascurando quelle delle sfide quotidiane: rivendicare la fragilità contribuisce a diversificare queste narrazioni.
Sostenere che tutti possiamo fallire contribuisce a creare uno spazio sociale più inclusivo dove ogni percorso personale è rispettato.
Ti senti sopraffatto dal bisogno di mostrarti sempre forte?
La fragilità non è debolezza: è il punto da cui può partire un cambiamento autentico.
L’elogio al fallimento
Hai presente quando artisti famosi iniziano a rovinarsi la vita?
Perché hanno ricevuto lui, il vaso, lo scrigno in cui è racchiuso il più grande dei nemici di noi esseri umani: il peso della perfezione.
E così, per scrollarselo di dosso, iniziano ad trascurarsi, a fare cose poco raccomandabili, a deludere chi li ammira, a rompere in mille pezzi quella versione idealizzata che gli era stata gettata addosso.
Addosso da chi? Dagli altri.
Perché? Perché si ha bisogno di credere, di idealizzare qualcuno e di rendere quel qualcuno la propria motivazione, il proprio esempio...il proprio dio.
È solo che noi esseri umani un peso così, il peso di essere dio per qualcuno, non ce la facciamo a reggerlo: ci tremano le gambe, ci smuovono le ossa, tutto vacilla e noi cadiamo a terra, ci lasciamo andare per tornare a sentirci liberi.
All’apparenza sembrerebbe una forma di autodistruzione, di autosabotaggio…in realtà è solo ricerca di libertà, è il tentativo di deporre quel peso, di non essere più dio per qualcuno che ne ha bisogno.
La fobia della sofferenza
Le generazioni passate, quelli nati negli anni 30/40, hanno vissuto una vita piena di difficoltà, spesso erano costretti a partire all’estero per ricercare una professione da svolgere con una mancanza di conoscenza della lingua, tanti figli da mantenere, mancanza di competenze pratiche nel settore del lavoro. Sono persone che hanno affrontato grandi difficoltà, che hanno dovuto lasciare la loro terra natia, la loro famiglia per spostarsi in un luogo del tutto nuovo.
I figli di questa generazione, quelli nati negli anno 60/70, hanno ricevuto il mandato familiare di non soffrire, hanno avuto aiuti dai genitori che, avendo tanto sofferto, non volevano che anche i figli stessero male.
I loro figli, quelli nati negli anno 80/90/2000, hanno ereditato l’imperativo della non sofferenza: non poter soffrire, non poter stare male.
Ma possiamo davvero vivere senza provare dolore? La sofferenza fa parte della vita, non sparisce se le proibiamo la presenza, anzi spesso non potendo essere esplicitata, viene somatizzata e si trasforma nell’ansia da prestazione a star bene sempre e comunque affinché i genitori non stiano male.
La ri-genitorializzazione
Quello che accade alle star, accade anche ai figli, quei figli che sentono il peso di dover riscattare i propri genitori, sanare le loro ferite, curare le loro delusioni, esaudire i loro sogni, avere successo, essere felici in una sorta di ri-genitorializzazione.
Un figlio ci prova, per poi capire che no, non riesce e quel fallimento si trasforma in libertà, in restituzione: restituisce quel peso dell’essere perfetti al genitore per ricordargli che non è possibile, e che si, possono rinunciare a quel peso anche loro, i genitori, se solo lo vogliono.
Senti di portare sulle spalle il peso dei sogni dei tuoi genitori?
È tempo di restituire quel carico e costruire la tua strada. Un supporto psicologico può aiutarti a farlo.
L’importanza della fragilità
Quante volte soffriamo per le nostre imperfezioni, per gli imprevisti, per i nostri piani che non seguono alla perfezione ed invece è proprio in quegli spazi che si vengono a creare le nostre passioni, è in quel dolore che manifestiamo la nostra forza. È proprio nelle nostre debolezze e fragilità, nel nostro senso di impotenza che impariamo a conoscere davvero noi stessi.
Vorremmo tenere tutto sotto controllo ed invece nei nostri inciampi vediamo il nostro ego crollare, la nostra superbia cedere, la nostra umanità premere e quella caduta diventa promemoria del fatto che non siamo perfetti.
Il dono del fermarsi
È proprio nel dono del fermarci che riscopriamo i motivi per cui facciamo ciò che facciamo, in cui ci ricordiamo i nostri perché, ciò che davvero conta per noi.
Il dolore, così come fa il sole con il ghiaccio, scioglie, spezza, ammorbidisce: ci fa ritornare con i piedi per terra, ci fa riavvicinare al nostro bisogno di chiedere aiuto, ci ricorda le nostre priorità.
Più cerchiamo di essere perfetti, di tenere tutto sotto controllo e meno ci riusciremo.
Ci vuole tempo, ci vuole pratica, ci vuole pazienza. Bisogna persino cadere una o due volte, ma nel cadere spesso possiamo raccogliere qualcosa di importante da terra, qualcosa di prezioso come la consapevolezza che abbiamo bisogno di avere fiducia: in noi stessi, negli altri, nella vita.
Lo scopo della vita
Il nostro obiettivo comune è quello di essere felici, di respirare serenità, di accogliere quello che la vita ci offre. Siamo al mondo per guarire, per sanare, per riparare, per spezzare le catene del "si è sempre fatto così" e dare valore alla nostra esistenza. Siamo al mondo anche per aiutare gli altri a far lo stesso.
È importante ricordarci qual è il profondo scopo per cui facciamo ogni cosa: questo ci permette di ritornare alle origini, di rimanere ancorati ai nostri perché e a ciò che per noi è importante.
Rivendicare la possibilità di fallire ci permette non solo di reimpostare le nostre aspettative riguardo al successo personale, ma anche di favorire un clima sociale dove l’accettazione della fragilità è vista come una risorsa preziosa per l'apprendimento collettivo ed individuale. In questo modo, possiamo costruire comunità più resilienti, aperte e pronte ad affrontare le sfide con coraggio ed umanità.
Se senti il bisogno di trattare queste tematiche con un professionista della salute mentale, contatta lo psicologo più adatto a te.
Bibliografia
- Le coordinate della felicità. Di sogni, viaggi e pura vita – Gianluca Gotto – Mondadori – 2020
- Il magico potere del fallimento. Perché la sconfitta ci rende liberi - Charles Pépin – Garzanti – 2023
- Elogio del fallimento. Quattro lezioni di umiltà – Costica Bradatan – Il Saggiatore – 2023




























