Chiedere aiuto non è egoismo: Come riconoscere il sovraccarico emotivo e iniziare a prendersi cura di sé
Chiedere aiuto non è egoismo: Come riconoscere il sovraccarico emotivo e iniziare a prendersi cura di sé

Psicologo di Base®: Primo colloquio gratuito e i successivi 3 a 40€ ciascuno

Chiedere aiuto non è egoismo: Come riconoscere il sovraccarico emotivo e iniziare a prendersi cura di sé

A volte succede tutto insieme. Ti svegli già stanco, eppure la giornata è solo all’inizio. Le cose da fare sembrano moltiplicarsi, le persone attorno a te ti chiedono attenzione, risposte, presenza. E tu senti dentro qualcosa che non riesci nemmeno a nominare, se non con quella frase che continua a rimbombarti nella testa: “Non ce la faccio più”.

Spesso, è proprio in quei momenti che emerge il pensiero più doloroso: “Se chiedo aiuto, sembrerò debole. Egoista, perfino”. Così si rimane in silenzio, sotto il peso di un carico emotivo che cresce ogni giorno, soprattutto per chi si prende cura degli altri. È il cosiddetto burn out familiare, uno stato di esaurimento mentale, fisico ed emotivo, che può essere approfondito nel contesto delle dinamiche familiari in questo articolo.

La mindfulness ci invita, con gentilezza, a restare presenti a ciò che sentiamo. Non per giudicarlo o respingerlo, ma per ascoltarlo con consapevolezza. È proprio da lì che può partire il cambiamento: dal riconoscimento autentico del proprio bisogno. E dalla comprensione che chiedere aiuto non è egoismo, ma una forma di lucidità e forza interiore.

Quando il peso emotivo diventa insostenibile

“Non ce la faccio più”: un pensiero più comune di quanto credi

Molti di noi vivono giornate in cui si sentono in trappola, ma pochi lo dicono. Ci si sente soli anche in mezzo agli altri, schiacciati da una routine in cui non c’è più spazio per respirare. Pensa a quella madre che, dopo il lavoro, gestisce figli, suoceri anziani e la casa. Oppure al padre che si prende cura del genitore malato mentre cerca di mantenere il lavoro e una parvenza di vita personale. Anche un figlio adulto, che ogni giorno si occupa in silenzio della madre depressa, potrebbe arrivare a sera col pensiero: “Sono esausto, ma non posso mollare”. In tutti questi scenari c’è una costante: nessuno si concede il diritto di fermarsi. Eppure, fermarsi per ascoltarsi è proprio ciò di cui hai bisogno: sintonizzarsi sul respiro, osservare le proprie emozioni, riconoscere la fatica. Non per lamentarsi, ma per iniziare a prendersi cura di sé in modo profondo.

Ti senti stanco ancora prima di iniziare la giornata?

Non devi portare tutto il peso da solo. Parlare con uno psicologo può alleggerire la mente e dare nuove prospettive. Il primo colloquio è gratuito.

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I segnali del sovraccarico emotivo e mentale

Il corpo e la mente parlano, anche quando non vogliamo ascoltarli. Ci sono sintomi che non nascono da una malattia, ma da un carico che abbiamo sopportato troppo a lungo. Stanchezza cronica, irritabilità, insonnia, dolori diffusi. Una tristezza che non se ne va. Un senso di colpa che impedisce perfino di godere di un’ora di tempo libero. Quando ci sentiamo sopraffatti, possiamo chiederci: cosa sto provando, in questo momento? Di cosa ho bisogno, davvero?. E a quel punto, se la risposta è “aiuto”, è tempo di prenderla sul serio.

Cosa succede se non chiedi aiuto?

Quando ignoriamo i segnali del nostro corpo e della nostra mente, questi si fanno via via più forti. Si trasformano in sintomi persistenti, e poi in stati di esaurimento. A lungo andare, la trascuratezza verso di sé può portare alla depressione, a disturbi d’ansia spesso sottovalutati. E tutto questo, paradossalmente, compromette anche la nostra capacità di prenderci cura degli altri.

Non agire, per paura di sembrare egoisti, è un gesto che rischia di ritorcersi contro. Nel 2020, un articolo pubblicato su Frontiers in Psychology da Scott Barry Kaufman e Emanuel Jauk ha mostrato come esistano due forme molto diverse di egoismo: uno “sano” e uno “patologico”. Il primo è quello di chi riconosce i propri limiti e agisce per preservarli; il secondo è l’altruismo spinto all’eccesso, che diventa autodistruttivo. Prendersi cura di sé, secondo questa prospettiva, non è un atto egoistico, ma una necessità evolutiva per restare in equilibrio.

Sentirsi egoisti è normale, ma non significa che lo sei

Il senso di colpa che blocca il cambiamento

Per molti, anche solo pensare a se stessi genera senso di colpa. È una reazione automatica: ti dici che c’è sempre qualcuno che sta peggio, che non puoi fermarti, che sarebbe egoismo farlo. Ma è proprio questo meccanismo a tenerti bloccato. Considera che il senso di colpa è un pensiero, non una verità assoluta. Possiamo osservarlo, lasciarlo scorrere, senza identificarci in esso.

Perché pensi di dover farcela da solo?

A volte è l’orgoglio a frenarti, altre volte è la paura del giudizio, o l’educazione ricevuta. L’idea che chiedere aiuto sia una sconfitta è profondamente radicata. Ma in un percorso di consapevolezza, queste convinzioni possono essere messe in discussione. Puoi imparare a chiederti: a chi appartiene questa voce dentro di me? È davvero mia, o è qualcosa che ho imparato ma che non mi appartiene più?

I falsi miti sul sacrificio e sull’essere “forti”

Essere forti non significa reggere tutto. Significa avere il coraggio di guardarsi dentro. Il sacrificio continuo non è un valore, se ti svuota. La vera forza è quella di chi sa quando fermarsi, quando respirare, quando dire: “adesso ho bisogno io”. In questo senso tornare al momento presente ci aiuta a scegliere con consapevolezza cosa è giusto per noi.

Chiedere aiuto è un atto di responsabilità verso te stesso (e gli altri)

Prendersi cura di sé per poter prendersi cura degli altri

Chi si prende cura degli altri ha il diritto – e il dovere – di proteggere le proprie energie. La cura del caregiver è ormai riconosciuta in ambito clinico come una priorità, come sottolineato anche in questo approfondimento rivolto a chi assiste familiari con Alzheimer. Se ti esaurisci, non puoi dare più nulla. Prendersi cura di sé, allora, è un gesto responsabile. È come mettere la maschera dell’ossigeno prima su di te e poi sugli altri, come ci insegnano sugli aerei. Non è egoismo: è saggezza.

Come riconoscere che è il momento di chiedere supporto

Il momento di chiedere aiuto arriva quando senti che hai perso la connessione con te stesso. Quando fai le cose senza più sentirle. Quando tutto diventa un peso. Per riconoscere quel punto di rottura puoi ascoltare il corpo, osservare la mente, cogliere i segnali sottili prima che diventino grida. Chiedere aiuto in quel momento non è cedere. È agire, con lucidità.

Come parlare con i familiari e coinvolgerli nel carico quotidiano

Comunicazione assertiva: come dire “ho bisogno di aiuto”

Parlare con i propri familiari non è sempre facile. Ma la comunicazione mindful, basata sull’ascolto profondo e sulla parola autentica, può cambiare le cose. Puoi iniziare dicendo semplicemente come ti senti, usando il cuore. “Mi sto sentendo stanco e sopraffatto. Mi farebbe bene sapere che non devo fare tutto da solo.” Essere assertivi non significa imporre, ma condividere. Con sincerità e rispetto.

Cosa fare se i familiari non collaborano o minimizzano

A volte, anche se parli con il cuore, non vieni ascoltato. In questi casi, resta saldo nella tua verità. Non devi convincere nessuno. Puoi semplicemente ripetere con calma il tuo bisogno, prendendoti lo spazio per agire comunque in modo protettivo per te. Se gli altri non comprendono subito, non significa che la tua richiesta sia sbagliata: comincia con lo stabilire dei confini chiari che ti lascino del tempo da dedicarti.

Dividere i compiti senza sentirsi in colpa

Chiedere collaborazione non è scaricare responsabilità, ma condividerle in modo consapevole, anche grazie a piccoli strumenti organizzativi. Il senso di colpa può emergere, ma puoi riconoscerlo come parte del processo. In un’ottica di consapevolezza, puoi imparare a scegliere con intenzione come e quando delegare, e notare come ti senti nel farlo: stabilire dei turni settimanali per le attività più semplici magari aiutandoti con un planning visivo che renda immediatamente riconoscibili i compiti di tutti può costituire un primo passo per cercare aiuto. Con il tempo, ti accorgerai che il peso è più leggero. E che sei ancora tu, ma più libero.

A chi puoi rivolgerti: servizi, enti e aiuti concreti

Supporti psicologici: pubblici, privati e gratuiti

Esistono moltissime forme di supporto.  Puoi rivolgerti al tuo medico di base che saprà indirizzarti, ai centri di salute mentale o ai servizi comunali. Ma se la burocrazia ti spaventa e vuoi ricevere supporto emotivo in modo semplice e rapido ci sono alternative altrettanto efficaci ma di più facile accesso: il Portale Psicologo di Base (psicologodibase.com) offre un primo colloquio gratuito e percorsi personalizzati e orientati ai tuoi bisogni.

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Scopri come funziona il percorso

Centri di ascolto, associazioni e gruppi per caregiver

In molte città ci sono sportelli per caregiver, gruppi di ascolto e associazioni che offrono spazi sicuri dove raccontarsi, senza giudizio. Parlare con chi vive esperienze simili può essere di grande sollievo. Anche online, grazie a piattaforme come psicologodibase.com, è possibile trovare supporto umano e professionale.

Come informarsi sui servizi nella propria città

Navigando su psicologodibase.com puoi cercare psicologi nella tua zona e scoprire come funziona il servizio, con accesso facilitato e orientamento iniziale. Troverai articoli, contatti utili e la possibilità di scegliere se preferisci incontri in presenza o online. Il portale è pensato per orientarti con chiarezza, senza perderti nella burocrazia.

Chiedere aiuto non ti rende egoista. Ti rende vivo, presente, consapevole. Ogni volta che riconosci un bisogno e agisci per onorarlo, ti stai prendendo cura di te. E anche degli altri, perché una persona che si ascolta e si rispetta è una presenza più autentica e stabile per chi le sta accanto. Non sei solo. Non devi farcela per forza da solo. Puoi fermarti, respirare, ascoltarti. E dire, con gentilezza e coraggio: “Adesso ho bisogno io”.

Bibliografia

  • Kaufman, S. B., & Jauk, E. (2020). Healthy selfishness and pathological altruism: Measuring two paradoxical forms of selfishness. Frontiers in Psychology, https://doi.org/10.3389/fpsyg.2020.01005
  • Kabat-Zinn, J. (2013). Vivere momento per momento. TEA.
  • Maslach, C., & Leiter, M. P. (2016). Burnout: The Cost of Caring.

Quando il carico emotivo è troppo, chiedere aiuto è un atto di forza.

Ti senti al limite? Con Psicologo di Base puoi ritrovare equilibrio, online o in presenza.

Dott.ssa Alice Garbin

Autrice

Dott.ssa Alice Garbin

Iscrizione albo: Albo A 26230 Lombardia

Psicologa criminologa e mediatrice familiare Airac

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