Le disparità nel mondo del lavoro subite dai dipendenti sono una tematica all’ordine del giorno: sono sempre più frequenti, infatti, gli episodi e gli esempi di maltrattamento che portano i lavoratori a vivere situazioni di stress e ansia in contesto lavorativo, per questo è importante comprendere le cause e le conseguenze del fenomeno del mobbing; le modalità di gestione e risoluzione del conflitto che si innesca all’interno dei luoghi di lavoro e l’analisi delle possibilità di risoluzione del conflitto da mettere in atto, specialmente attraverso le attività di prevenzione e tutela messe in atto da numerosi sindacati italiani per prevenire e contrastare il mobbing,
Le cause del mobbing
Tra le cause più frequenti di maltrattamento in ambienti di lavoro vi è la mancanza di supervisione e di supporto da parte di un leader nella gestione dei rapporti interpersonali. Inoltre spesso il mobbing è causato da problemi di comunicazione del personale: la mancanza di confronto costruttivo può creare malumori e discrepanze nei rapporti relazionali, lasciando spazio a risentimenti e fraintendimenti.
Lo psicologo Heinz Leymann vede nel conflitto il presupposto essenziale alla nascita del mobbing ed individua sei aree nelle quali si può sviluppare il conflitto e di conseguenza il mobbing:
- una carente organizzazione e distribuzione del lavoro è causa di stress e di tensioni che vengono scaricate su un colpevole;
- mansioni lavorative: se un lavoratore svolge mansioni ripetitive, monotone e sotto qualificate è più probabile il ricorso al mobbing per sfuggire alla monotonia;
- la direzione del lavoro: una direzione aziendale carente, che non tiene conto delle esigenze dei lavoratori, anche dal punto di vista relazionale, è più facile che favorisca la nascita del mobbing all’interno della sua organizzazione;
- la dinamica sociale del gruppo di lavoro: lavorare ‘sotto-pressione’ porta gli individui a ritrovare l’equilibrio scaricando le tensioni all’esterno;
- le teorie sulla personalità: a questo riguardo Leymann sostiene che il mobbing non dipenda dal carattere delle persone, ma dalle circostanze e dall’ambiente;
- la funzione nascosta della psicologia nella società: Leymann muove una critica contro tutti coloro che identificano le vittime come delle persone con ‘problemi psicologici’ ritenendo estremamente pericoloso soffermarsi solo su di esse e trascurando invece l’aspetto peculiare del sistema entro cui avviene il mobbing.
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Le conseguenze del mobbing
Conseguenze psicofisiche
Il mobbing sul lavoro ha una serie di ripercussioni sulla vittima. Prima fra tutte, avrà delle conseguenze sulla sua salute psicologica e mentale, sfociando in casi estremi nella sindrome da burnout. Possono presentarsi i primi sintomi di ansia e depressione, accanto a sentimenti di rabbia e di esaurimento emotivo. Ma si producono anche stanchezza e disturbi fisici, oltre all’alterazione del sonno.
La conseguenza inevitabile di un lungo periodo di atteggiamenti persecutori è la sindrome da stress.
Lo stress è diviso in tre fasi:
- mobilitazione dell’energia: il corpo scarica adrenalina, il cuore batte più forte, si inizia a respirare più rapidamente, si genera una azione difensiva;
- consumo dell’energia accumulata: il corpo scarica dalle proprie risorse zuccheri e grassi accumulati, in questa fase ci si sente oppressi e stanchi;
- esaurimento dell’energia accumulata: il bisogno di energia del nostro corpo diventerà maggiore della sua abilità a produrlo, si verificano i seguenti sintomi: isolamento, solitudine, difficoltà di concentrazione, ansia, irritabilità, sbalzi di umore, insonnia, disturbi digestivi.
Lo stress legato all’attività lavorativa si manifesta quando le richieste dell’ambiente di lavoro superano la capacità del lavoratore di affrontarle o di controllarle.
Inoltre, a causa del mobbing, si possono verificare alcuni disturbi d’ansia e d’umore quali:
- disturbo post-traumatico da stress: comporta effetti molto gravi per la salute mentale e può essere approfondito leggendo questo articolo dedicato al trauma. caratterizzato da fenomeni di evitamento, comportamenti cioè tesi ad evitare ogni situazione che ricordi il problema, pensiero concentrato in modo ossessivo sui problemi di lavoro con incubi, disturbi d’ansia e depressivi;
- disturbo dell’adattamento: è caratterizzato da una forte tensione psicologica che conduce alla comparsa di una serie di alterazioni che colpiscono l’equilibrio sociale, emotivo e psicologico e fisiologico, generando l’abbassamento delle difese immunitarie.
I più tipici disturbi di natura psichica sono: agitazione, angoscia, disturbi dell’attenzione e della concentrazione, anoressia o bulimia, disturbi del comportamento, riduzione o perdita della libido, disturbi del sonno.
A cui certamente seguiranno disturbi di natura fisica quali: cefalea, disturbi dell’equilibrio, tachicardia e crisi ipertensive, gastroduodenite e colon irritabile, dolori osteoarticolari, allergie, disturbi respiratori.
Conseguenze aziendali
Il mobbing ha ripercussioni negative sul lavoratore che ne è vittima, ma implica anche dei costi aggiuntivi per l’azienda e per la società in generale.
Il mobbing ha delle conseguenze negative per l’intero gruppo aziendale, tanto che l'Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro (EU-OSHA) lo considera uno dei principali rischi psicosociali che devono essere affrontati dalle aziende moderne. La vittima chiederà permessi da lavoro per motivi di salute, calerà considerevolmente il suo rendimento lavorativo, diminuirà l'attaccamento all'azienda ed aumenterà la voglia di presentare le dimissioni.
Questa situazione, inoltre, si ripercuote anche sugli altri dipendenti che ne sono testimoni. Chi assiste ad atti di mobbing può sviluppare stress, esaurimento emotivo e un atteggiamento negativo nei confronti dell’ambiente di lavoro. Infine, questi conflitti sul lavoro possono alimentare ansia e altri disturbi psicologici, ripercuotendosi anche sulla vita familiare e personale.
Incredibilmente il mobbing danneggerà anche chi per ignoranza, leggerezza o incapacità, lo mette in atto o permette che avvenga, cioè l’azienda: ne colpirà l’efficienza e la produttività, diminuendo la motivazione, aumenterà l’assenteismo, la conflittualità, gli infortuni e le malattie, lo scarso interesse, il contenzioso: tutto ciò creerà un clima negativo. L’azienda dovrà spendere risorse per sostituire il lavoratore in malattia, vedrà aumentare il costo del prodotto a scapito della qualità con insoddisfazione del cliente. Per altro il lavoratore, per la sua condizione, avrà grosse difficoltà a trovare una nuova occupazione, perciò l’azienda dovrà affrontare spese legali, risarcimenti e conseguente perdita d’immagine. Tra l’altro, è provato che un lavoratore vittima di mobbing ha un rendimento inferiore del 60% ed un costo per l’azienda del 180%.
Conseguenze per la società
Anche l’intera comunità nazionale è danneggiata, sia per i disservizi che il mobbing produce, sia perché il Sistema Sanitario Nazionale dovrà sostenere costi per terapie, ricoveri, medicine. Aumenteranno le spese per gli oneri sociali quali sussidi, pensioni anticipate, mobilità, invalidità, ammortizzatori sociali.
Tra i costi che si sobbarca l’intera società troviamo gli oneri che l’INPS deve sostenere per le lunghe assenze dal lavoro e per i periodi di malattia a cui è costretto sempre più di frequente il mobbizzato.
Anche le Aziende Sanitarie Locali contribuiscono a sostenere le spese della vittima che è costretta a continue visite mediche e terapie. Nei casi più gravi in cui il mobbizzato subisce danni permanenti alla propria salute fisica e psichica, si ricorre all’invalidità professionale o al prepensionamento che rappresenta un costo molto elevato per la comunità. Infine occorre tenere in considerazione l'eventuale danno alla famiglia della vittima di mobbing, dove i rapporti possono deteriorarsi al punto da arrivare ad una separazione o un divorzio.
La gestione del conflitto
Il conflitto è parte integrante e necessaria dello sviluppo di un'organizzazione, è l'essenza di un valido processo decisionale perché amplia le prospettive, aiuta a scoprire nuove alternative e stimola l'interazione creativa tra i membri. Il risultato del conflitto, però, deriva dalla sua gestione: il conflitto può essere distruttivo-distributivo, ovvero c'è chi vince e c’è chi perde; oppure costruttivo-integrativo, ovvero vincono tutte le parti in gioco.
Perciò, se il conflitto è ben gestito può divenire una risorsa per i membri del gruppo.
Ogni problema o divergenza interno all’organizzazione aziendale, può essere risolto in maniera positiva e costruttiva solo con il consenso di tutti, se ogni membro del gruppo viene ascoltato con attenzione, se ognuno può esprimere la propria opinione liberamente e se tutte le opinioni espresse vengono valutate e prese in considerazione in egual maniera.
È bene che il manager incoraggi questo modus operandi, affinché il gruppo prenda decisioni accurate e funzionali.
Il livello di conflittualità di una organizzazione e le sue modalità di gestione sono strettamente connesse alla cultura organizzativa esistente.
Il conflitto integrativo, quindi, è altamente positivo per natura, in quanto migliora non soltanto le decisioni del gruppo, ma anche il processo attraverso cui le decisioni sono prese.
Il conflitto genera le seguenti conseguenze positive:
- aumento della fiducia reciproca, della lealtà, della predisposizione ad una maggiore apertura mentale;
- aumento della comprensione altrui;
- maggiori alternative decisionali, maggior confronto, arricchimento e scambio di opinioni differenti;
- aumento dell’interazione e del coinvolgimento, determinando un'atmosfera libera e aperta al confronto.
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Possibili soluzioni
Considerati gli alti costi del mobbing, sia a livello sanitario sia a livello economico e aziendale, diventa sempre più necessario affrontare questa situazione e porvi rimedio. In modo concreto, le aziende devono abbandonare l’atteggiamento passivo e permissivo di fronte a queste situazioni e adottare precise linee guida e buone pratiche internazionali, come quelle proposte dalla International Labour Organization (ILO) sul tema delle molestie e del mobbing. Dovrebbero alimentare uno stile positivo ed eliminando i fattori che influiscono sullo sviluppo del mobbing: il sovraccarico di lavoro, la mancanza di una buona leadership, la mancanza di supervisione o il senso di ingiustizia percepito dai dipendenti.
In questo senso, è bene attuare è una valida opera di prevenzione che sia indirizzata all’azienda e ai singoli individui, con l’obiettivo di impedire che un banale conflitto irrisolto possa trasformarsi in un vero e proprio caso di mobbing; è indispensabile formare capi squadra che siano giusti e solidari, potenziando il ricorso all’intelligenza emotiva, in modo che sappiano come comportarsi se qualcuno denuncia una situazione di mobbing.
Inoltre, è bene che conoscano e sappiano come mettere in atto un protocollo di provvedimenti che prevenga ed elimini la situazione alla radice. Sfortunatamente, ben poche imprese hanno un protocollo di questo tipo e molto spesso il personale prende decisioni incerte, dubbie e poco meditate quando si verifica una situazione di questo tipo.
L’azienda stessa deve stabilire una politica chiara e coerente rispetto al mobbing, evitando qualsiasi ambiguità e stabilendo protocolli pratici su come denunciare e affrontare le situazioni di abuso e maltrattamento sul lavoro. È bene che ci siano mediatori specializzati sul luogo di lavoro. Inoltre, è consigliabile che i dipendenti seguano corsi specifici di autocontrollo emotivo e strategie di coping per gestire efficacemente lo stress lavorativo, acquisendo strumenti validati dalla comunità scientifica internazionale.
Non si può adottare un atteggiamento permissivo, indulgente e tollerante nei confronti del mobbing. È fondamentale che la vittima percepisca che c’è qualcosa che può fare per porvi rimedio e che l’azienda la aiuti a farlo, per evitare che chi soffre un abuso si senta indifeso, solo e che il problema del mobbing sul lavoro continui ad aggravarsi o si estenda ad altri.
Nel caso dell’intervento mirato all’azienda, secondo Harald Ege, si dovrebbe attuare una formazione finalizzata a correggere e indirizzare adeguatamente il lavoro dell’Ufficio Risorse Umane, oltre che creare la cosiddetta cultura del litigio (Ege, 2001).
La cultura del litigio è un programma formativo rivolto alle aziende, diretto dall’ufficio risorse umane o dai vertici dirigenziali. L’obiettivo è rendere trasparente e chiaro il conflitto in modo da poterlo riconoscere e averne una visione obiettiva ed imparziale. Questa strategia va a beneficio non solo dell’azienda ma anche dei singoli lavoratori. Il primo passo da fare è de-emozionare il conflitto, ossia togliervi ogni elemento emozionale che può risultare scomodo e fuori luogo in determinate circostanze.
Anche se l’attuazione di tale cultura porta all’azienda benefici economici e relazionali, essa è pressoché assente dalle aziende italiane, dove il conflitto viene celato o trascurato, permettendogli di creare malumore, amarezza ed incertezza e di preparare il terreno ideale per l'instaurarsi del mobbing.
Nelle aziende dove manca la cultura del litigio, il conflitto tradizionale consuma e annienta le energie dei rivali, le quali sono rivolte le une contro le altre. Nella cultura del litigio, invece, le risorse dei contendenti lavorano insieme ed in sinergia, venendo impiegate per la creazione di nuove e creative soluzioni. Il punto di vista dell’altro non è più una minaccia, ma diviene una opportunità di crescita e di arricchimento personale, i problemi sono risolti più velocemente ed il clima organizzativo è più sereno, per cui i dipendenti lavorano con migliori risultati e sono più produttivi.
A questo proposito, Harald Ege ha stilato una serie di consigli per la vittima di Mobbing:
- de-emozionare il conflitto: la vittima non deve mai lasciarsi prendere dall’emotività e deve togliere la carica emotiva, ragionando con lucidità;
- stare alcuni giorni a casa per ricaricarsi;
- scrivere qualsiasi cosa accade in ufficio;
- intensificare la vita privata: in una situazione del genere, è facile chiudersi in se stessi, mentre sarebbe indispensabile avere delle valvole di sfogo dell’aggressività, come per esempio praticare sport;
- scrivere: la scrittura ha effetti terapeutici, infatti, scrivere i propri tormenti significa ridimensionarli e vederli in maniera più obiettiva;
- non sminuirsi mai: è fondamentale non sminuirsi mai e, nei casi in cui si fatica ad affermarsi, può essere utile consultare approfondimenti sulla capacità di superare la timidezza estrema e rafforzare l’autostima.
Altro modo di reagire al mobbing secondo Harald Ege è partecipare ai corsi di autodifesa verbale che consistono in corsi di formazione personale che si rivolgono alle singole persone per insegnare ad affrontare e gestire meglio la conflittualità della vita quotidiana (Ege, 2001). Questi corsi intendono fortificare la persona all’interno per cambiare il loro atteggiamento all’esterno. L’autodifesa verbale insegna le regole e le strategie fondamentali per difendersi dagli attacchi verbali (insulti, offese, risposte brusche, battute e scherzi di dubbio gusto, rimproveri e critiche infondate), bloccandoli e annullandoli. È indirizzata a tutti, uomini o donne, mobbizzati e non, per difendersi dal conflitto in generale e dal mobbing in particolare.
Spesso il conflitto nasce dalla nostra incapacità di rispondere adeguatamente e di tamponare subito la situazione, oppure da una nostra reazione esagerata o inappropriata al contesto. E dal conflitto non risolto al mobbing il passo è molto breve. In una situazione di mobbing, gli attacchi del mobber fanno male perché colgono impreparata la vittima, la quale non riesce a rispondere adeguatamente. È fondamentale quindi non rimanere mai più senza risposte adeguate. In questo modo si può stroncare il conflitto subito, prima che si espanda e diventi mobbing, oppure limitare i danni di una situazione di mobbing già in atto. La vittima, acquisendo la capacità di rispondere adeguatamente in qualsiasi circostanza, si sente più sicura di sé e nei rapporti interpersonali, ispirando rispetto e considerazione; in tal modo riesce a salvaguardare la sua dignità ed evita che gli attacchi costituiscano delle premesse per disturbi psicosomatici.
Le tecniche di autodifesa verbale hanno lo scopo di stupire il mobber, lasciandolo senza parole, ad esempio:
- richiedere spiegazioni: se l’aggressore usa delle argomentazioni banali o stupide, una buona tecnica è quella di richiedergli costantemente il motivo per cui dice ciò, in modo da far emergere chiaramente la limitatezza del suo comportamento. Un esempio: se il mobber sostiene che “le donne sono stupide e non dovrebbero lavorare” si potrebbe controbattere “Quante donne conosci per affermare questo?” Oppure “Inclusa tua moglie?”.
- battuta: alcune volte rispondere con umorismo significa non prendere sul serio l’aggressore e anzi, metterlo in ridicolo davanti a tutti.
- complimento imprevisto: si può disorientare il mobber con un complimento quando meno se lo aspetta; è ovvio che si tratta di un complimento molto ironico.
In conclusione è possibile, quindi, prevenire il fenomeno del mobbing con una valida valorizzazione del personale e con una concreta attenzione sia alla supervisione sia alla valutazione dello stesso, attraverso una valida formazione dei dirigenti, un efficace sistema informativo per la gestione dinamiche relazionali e validi sistemi comunicativi all’interno delle aziende.
Ma, qualora il fenomeno del mobbing si verifichi ugualmente, nonostante un valido sistema di prevenzione messo in atto dalle aziende, è bene che le vittime che subiscono maltrattamenti sul luogo di lavoro, si rivolgano a sportelli d’ascolto, di supporto psicologico e giuridico, quali ad esempio quelli offerti da numerosi sindacati italiani.
Bibliografia
- Analisi del fenomeno del mobbing e danno alla persona – Giulia Rinaldi – Editore: Independently published (2 agosto 2019)
- Solari L., La gestione delle risorse umane. Dalle teorie alle persone, Carocci, 2004
- Pagni M., La comunicazione autentica, Apogeo Milano, 2008
- Ege H., Il Mobbing in Italia, Introduzione al Mobbing culturale, Pitagora, Bologna, 1997
- Hirigoyen, M. F., Molestie morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro, Einaudi, 2005
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