Ti sei mai chiesto cosa possa passare per la mente di tuo figlio quando si chiude in camera, evitando il tuo sguardo? Hai mai provato quel senso di impotenza nel sapere che qualcosa non va ma non sapere come iniziare una conversazione? Se queste domande ti risuonano, sei nel posto giusto. Affrontare il tema dell’autolesionismo con un adolescente/pre-adolescente non è solo difficile: è un atto di coraggio. Significa entrare in uno spazio di dolore che spesso tuo figlio non sa come esprimere.

In questo articolo, andremo a fondo, offrendo strategie concrete per aprire un dialogo, guadagnare la sua fiducia e guidarlo verso un aiuto efficace.

Perché l’autolesionismo è così diffuso tra gli adolescenti?

Ti sei mai chiesto perché l’autolesionismo sta diventando sempre più “comune” tra i giovani? Oggi, gli adolescenti affrontano una pressione enorme: social media, competizione scolastica, aspettative sociali e familiari. Molti si sentono intrappolati in un vortice di emozioni che non riescono a gestire.

Secondo uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 17% degli adolescenti ha ammesso di essersi autolesionato almeno una volta. Per alcuni, infliggersi dolore fisico è l’unico modo che conoscono per avere sollievo temporaneo da emozioni schiaccianti. Come genitore, capire questo meccanismo è il primo passo per aiutare.

Hai bisogno di un supporto professionale per affrontare questo momento difficile?

Non aspettare che la situazione peggiori. Un colloquio con uno psicologo può fare la differenza per te e per tuo figlio.

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Come riconoscere i segnali dell’autolesionismo senza fraintendere

Hai mai avuto il dubbio che tuo figlio potesse nascondere qualcosa? Gli adolescenti/pre-adolescenti che si autolesionano spesso adottano strategie per mascherare il loro comportamento. Imparare a riconoscere i segnali è cruciale:

  • Segni fisici: tagli, graffi o bruciature visibili su braccia, gambe o altre parti del corpo coperte.
  • Comportamenti protettivi: indossare maniche lunghe o pantaloni anche con il caldo.
  • Cambiamenti emotivi: rabbia improvvisa, ansia o lunghi periodi di isolamento.

Questi segnali ti suonano familiari? Non ignorarli. La tua sensibilità nel notare questi dettagli potrebbe fare la differenza.

Preparati prima di parlare

Sul tema dell’autolesionismo ci si sente un po’ sempre a disagio. Ti è mai capitato di provare ad intavolare una conversazione sul tema e non saper bene come e cosa dire? Quando si tratta di autolesionismo, prepararsi appare essere fondamentale, per non alimentare ulteriori paure e non fomentare o ingigantire la “pericolosità” della situazione reale. Prima di parlare di autolesionismo con tuo/a figlio/a dunque, prova a chiederti:

  • Posso dedicare a mio/a figlio/a il giusto tempo e il giusto spazio o ho degli impegni prossimi che potrebbero farmi avere un atteggiamento spazientito e frettoloso?
  • Sono in grado di leggere i segni di sofferenza sul corpo di mio/a figlio/a?
  • Che rapporto ho con l’autolesionismo?
  • Sono in grado di accogliere quando mio/a figlio/a potrebbe voler condividere con me senza giudicare?
  • Sono in grado di fornire il giusto sostegno, facendo leva su informazioni veritiere sul tema e potendo – eventualmente – rivolgermi/ci ha persone qualificate che ci possano aiutare a superare questo momento?

È possibile sentirsi in difficoltà di fronte alla propria preoccupazione in merito alla probabile forma di malessere che forse i nostri figli stanno vivendo, alla loro sofferenza e alla nostra paura di cosa questa potrebbe portare. Le informazioni spesso divulgate sui canali multimediali da un lato ci aiutano ad avere nozioni concrete sul fenomeno dall’altro potrebbero rischiare di fuorviare i nostri pensieri verso situazioni più estreme. Per tale ragione, è bene cercare di stare il più possibile con i piedi per terra, offrire il nostro tempo e la nostra disponibilità all’ascolto ai nostri figli, creando un ambiente in cui si sentano sicuri di condividere le proprie emozioni e i propri stati d’animo anche più spaventosi. Pertanto, dopo essersi informati ed essersi poste le domande sopra riportate, potrebbe essere utile rivolgerci a nostro/a figlio/a con una domanda che segnali la nostra preoccupazione per il suo stato d’animo, a partire magari da un dato concreto – diverso dal solito – osservato nel suo comportamento quotidiano: “Ho notato che ultimamente indossi spesso una maglia con le maniche lunghe, anche a casa? Per caso senti freddo. Vuoi che alzi i riscaldamenti? Mi è anche sembrato di notare dei graffi rossi sul tuo braccio, per caso ti sei fatto/a male, posso vedere ed aiutarti?”.

La paura del rifiuto: Come superarla

Spesso uno degli elementi che ci spingono a desistere e a essere più preoccupati nell’affrontare il tema dell’autolesionismo con i nostri figli è la paura che essi ci rifiutino, ci allontanino ancora di più da loro e dalle loro emozioni confuse. È bene sottolineare come l’adolescenza sia una fase di passaggio, caratterizzata da molteplici vissuti ed emozioni per definizione confuse. I ragazzi, spesso, si trovano a provare sensazioni mai vissute prime, a cui non riescono a dare il nome. La società inoltre pare sempre più orientata su un versante di performarce, che richiede ai nostri ragazzi di adeguarsi e stare dentro rigide regole. Questi ragazzi spesso per la prima volta in vita loro entrano in contatto con emozioni quali: vergogna, senso di colpa, impotenza, senso di fallimento, senso di inadeguatezza e faticano ad accettare di non essere più come prima. I cambiamenti ormonali causano squilibri anche a livello umorale ed è possibile che essi si sentano alternativamente felici o molto tristi. Questa instabilità spaventa e spesso porta i ragazzi a chiudersi in sé stessi e nella propria corporeità. Il corpo diventa un luogo sicuro in cui nascondersi, un luogo in cui tornare a sentire. In questa confusione, dare una forma verbale a pensieri confusi diventa praticamente impossibile. Diviene, pertanto, più semplice isolarsi, chiudere in sé stessi, ed evitare ogni possibile comunicazione con l’esterno. È per questo che spesso gli adolescenti/pre-adolescenti ci possono sembrare assenti e/o evitanti. Si tratta di un meccanismo di difesa cognitivo che ci porta ad allontanare tutto ciò che non siamo in grado di spiegarci. La verbalizzazione dei nostri stati interni è un problema e dunque tende ad essere evitata.

Come è possibile dunque provare a scavallare questa barriera e provare a contattare i nostri figli?

  • Mostrandosi compassionevoli e disponibili all’ascolto.
  • Facendo capire il più possibile che questa confusione è segno di una fase di passaggio che tutti, bene o male, abbiamo passato.
  • Che siamo accanto a loro, a loro disposizione, per fronteggiare quelli che possono essere dei nuovi mostri.

È bene inoltre sapere che le possibili reazioni che potrebbero avere i nostri figli potrebbero essere una conseguenza ai vissuti di rabbia ed impotenza percepiti nel non sapere più bene chi siano e che cosa provano. Questi vissuti potrebbero essere rivolti verso sé stessi, con appunto forme di inibizione emotiva, isolazionismo sociale o auto-lesionismo; ma anche verso l’esterno con gesti di aggressività rivolti verso l’esterno e/o crisi di rabbia o pianto improvviso. Queste reazioni sono del tutto normali ed è bene che vengano accolte in un ambiente in cui i ragazzi si sentano al sicuro e liberi di esprimere e trovare – insieme ad un adulto – nuovi significati del proprio sentire. Chiediamoci dunque: “I luoghi di vita che vive mio/a figlio/a gli permettono di sentirsi abbastanza sicuro ed accolto nella sua eterogeneità di sentimenti e percezioni emotive? Cosa posso fare io per far si che mio/a figlio/a non si senta inadeguato rispetto al proprio tempo, con i propri pari?".

Costruire domande che creano connessione

Creare dunque luoghi sicuri per l’ascolto e la condivisione delle proprie emozioni, risultano pertanto essere un prerequisito capace di agevolare l’apertura e l’espressione di sé dei nostri ragazzi. Quando parliamo con i nostri figli, cerchiamo pertanto di utilizzare domande che dimostrino la nostra disponibilità per un dialogo aperto e non giudicante. Cerchiamo di non porre ulteriori muri tra noi e loro; facendoli capire che siamo lì con loro ed accanto a loro qualora ne avessero bisogno, che non sono soli e che gli vogliamo bene.

Costruire alternative salutari

Un’altra soluzione alternativa a cui possiamo guardare al fine di sostenere i nostri figli nella loro quotidianità di adolescenti/pre-adolescenti è rivolgersi ad attività di stampo artistico, sportivo e/o culturale:

  • L’attività sportiva, in particolare, permette il rilascio (o scarico) dell’energia, andando a diminuire progressivamente l’ormone dello stress (cortisolo) che spesso ci fa sentire agitati e nervosi (un po’ su di giri).
  • L’arte, invece, si dimostra capace di accedere alle nostre forme più inconsce, fornisce uno stato di sollievo psico-fisico immediato e ci porta su terreno che non richiede la parola. Di fronte ad un prodotto d’arte, una mostra artistica o la realizzazione noi stessi – ad esempio – di un vaso di ceramica, ci è possibile staccare momentaneamente la spina al nostro “giudice emotivo” e provare a “stare nel presente” agendo manualmente.
  • La manualità è una strategia utile, in quanto ci consente di tornare alle nostre radici e smettere momentaneamente di pensare. Un’ultima possibilità – sempre affine all’arte – è la musica.
  • Può capitare di osservare speso i nostri ragazzi, adolescenti/pre-adolescenti con le cuffie. L’utilizzo costante della musica potrebbe essere una risposta automatica al proprio bisogno di zittire per qualche minuto i nostri pensieri. Proviamo a coltivare questo elemento, spingendo magari i nostri ragazzi ad andare a teatro per la prima volta, ad ascoltare le note musicali e i ritmi e a cogliere in essi valori emotivi.

Potrebbe dunque essere utile provare a coltivare i momenti di socialità con i nostri ragazzi, preservarli. Mostrandosi porti sicuri ed incoraggiandoli a provare nuove esperienze, magari insieme (con i genitori) o con propri coetanei.

Quando e come cercare aiuto professionale

Un ulteriore elemento da considerare è la ricerca di informazioni e di contatti utili di professionisti che siano in grado di aiutare tuo/a figlio/a ad affrontare un momento difficile. Sei in grado di farlo? Sai a chi rivolgerti? Cercare l’aiuto di uno psicologo potrebbe sembrarti – a te genitore – un segno di debolezza, di fallimento per non essere stato in grado di fornire a tuo/a figlio/a il supporto adeguato. Questa paura è del tutto naturale, ma non è reale. Tu in quanto genitore hai fatto tutto quello che potevi fare per crescere tuo/a figlio/a ed aiutarlo in ogni fase della sua vita. Può essere che in questo momento, lui/lei abbia bisogno di una persona che gli/le consenta di coltivare il proprio benessere in modo più mirato. Lo psicologo può aiutare te e i tuoi figli a trovare nuovi significati alla situazione che attualmente state vivendo e fornirvi delle strategie utili per percorrere un passo in più verso la strada della guarigione. Ma quali strategie possono effettivamente offrire gli psicologi per quanto concerne il tema dell’autolesionismo?

  • Un terapeuta cognitivo-comportamentale potrebbe insegnarti/vi nuove strategie per la gestione delle emozioni;
  • un terapeuta strategico o gestaltico, potrebbe incoraggiarti/vi verso l’espressione non verbale o creativa (es. arteterapia, teatroterapia);
  • un terapeuta sistemico-relazionale, potrebbe proporti/vi strategie per aiutare l’intero nucleo familiare per meglio comprendere ed affrontare il problema.

Potresti dunque proporre a tuo figlio, in caso tu lo ritenga giusto, di guardare al possibile aiuto di uno psicologo come supporto per questa fase della sua vita: “Un terapeuta potrebbe darti degli strumenti utili per sentirti meglio. Ti farebbe piacere nel caso incontrarne uno con me per vedere come funziona e come ti trovi?”.

Non dimenticare il tuo benessere

Di fronte ad ogni tema ad alto carico emotivo è bene – in quanto genitore – prendersi anche cura di sé stessi, delle proprie eventuali pregresse ferite e della propria sensibilità. Potrebbe capitare che tu ti senta in particolare difficoltà ad affrontare questo tema in quanto senti che ti tocca direttamente. Non ti preoccupare, in psicologia questo sentire è definito proiezione. Aver cura di sé, significa anche prestare attenzione ai propri punti di forza e alle proprie debolezze. Così come risulta importante creare l’ambiente e trovare il giusto tempo per instaurare il dialogo, occorre anche che tu – genitore – ti faccia un esame di coscienza sulla tua disponibilità o meno di affrontare lo stesso discorso. Qualora ti sentissi sopraffatto o avessi paura di non sapere come gestire la conversazione sull’autolesionismo con tuo/a figlio/a puoi rivolgerti direttamente ad un professionista psicologo e chiedere una consulenza sul tema. Qualora invece ti sentissi pronto ad affrontare il discorso con tuo/a figlio/a concediti dopo il tempo per “ricaricare le tue batterie”, per rilassarti e “digerire” quanto vi siete detti. Infine, ricorda: non sei tu il responsabile per ogni difficoltà che tuo figlio affronta!

Ti senti sopraffatto e hai bisogno di una guida per affrontare questa sfida?

Non affrontare tutto da solo. Il supporto di uno psicologo esperto può aiutarti a ritrovare chiarezza e serenità.

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Domande Frequenti sull’Autolesionismo negli Adolescenti

Come faccio a sapere se mio figlio si autolesiona?

È comune che gli adolescenti (preadolescenti) nascondino di compiere gesti autolesionistici, in caso contrario, la loro manifestazione potrebbe darti l’impressione di essere una estrema richiesta di attenzione ed aiuto (per approfondimento guarda paragrafo “Perché mio figlio si autolesiona se dice di non voler attirare l’attenzione?”). Qualora invece in quanto genitore o adulto vicino ad un/a ragazzo/a avessi il dubbio che questi possa o stia agendo atti lesivi nei confronti della propria persona, prova – in un primo momento – a prestare attenzione al suo rapporto con il proprio corpo; alla comparsa di nuove abitudini (ad esempio: la tendenza ad indossare spesso vestici che coprono braccia e gambe anche in giornate calde) o eventuali segni sul corpo (es. tagli, graffi o bruciature). Se hai dubbi, affronta la situazione con calma e senza giudizio, chiedendo: "Ho notato qualcosa che mi preoccupa, vorrei parlarne con te. Come stai davvero?"

Parlare dell’autolesionismo con mio figlio può peggiorare il problema?

No, se affrontato ne modo giusto no. Come riportato in precedenza è bene aver cura degli spazi e dei tempi dell’Altro ma anche di noi stessi; prestare attenzione alle parole che usiamo, mostrandoci disponibili all’ascolto e non troppo ansiosi o preoccupati. È bene far passare il messaggio che non si è soli in questo momento e che, qualsiasi cosa accada, la si affronterà insieme. Se hai paura di dire cose sbagliate, mettiti in ascolto. Mettiti vicino all’altra persona e ascolta; mostrati disponibile. Accorgerci dell’Altro e del suo stato d’animo o eventuale sofferenza è il primo passo verso l’accoglienza e l’ascolto non giudicante. “Io sono qui con te e per te, qualsiasi cosa accada. Non sei solo/a. Anche se adesso non mi vuoi, io ci sono. Prenditi i tuoi tempi e i tuoi spazi, io sono qui, non me ne vado e non mi spaventerò qualsiasi cosa mi dirai. Lo affronteremo insieme, un passo alla volta”.

Perché mio figlio si autolesiona se dice di non voler attirare l’attenzione?

L’autolesionismo non rappresenta in realtà un mezzo per attirare l’attenzione, ma piuttosto un tentativo di affrontare emozioni intense, senso di vuoto o stress. È un modo per ottenere sollievo temporaneo da sentimenti opprimenti o per riprendere il controllo quando tutto sembra fuori portata. È importante non interpretare questo comportamento come un capriccio o una forma di manipolazione. Chiedere direttamente a tuo/a figlio/a cosa prova e come si sente dopo un episodio di autolesionismo può aiutarti a comprendere meglio le sue motivazioni e a guidarlo verso soluzioni più sane.

Quando dovrei cercare aiuto professionale per mio figlio?

Se l’autolesionismo diventa frequente, più grave o accompagnato da pensieri di suicidio, è fondamentale rivolgersi a uno psicologo o psicoterapeuta specializzato. Anche se tuo/a figlio/a si mostra riluttante, spiegagli che il supporto di un professionista può aiutarlo a trovare modi più sani per gestire le emozioni. Non aspettare che il problema peggiori: se hai dubbi, consulta subito un esperto. Un professionista può anche supportarti come genitore, offrendoti strategie per affrontare la situazione con calma e competenza, ed indirizzarti verso le migliori risorse terapeutiche disponibili.

Come posso aiutare mio figlio senza essere invadente?

Essere presenti senza invadere lo spazio di tuo/a figlio/a è una sfida, ma è possibile. Offrigli il tuo supporto in modo costante, facendogli sapere che sei disponibile per parlare quando e se ne sentirà pronto. Evita di monitorare ogni suo movimento, poiché potrebbe percepirlo come una mancanza di fiducia. Concentrati invece sul rafforzare il legame emotivo con piccoli gesti quotidiani: condividere un’attività che ama, cenare insieme o semplicemente chiedergli come è andata la giornata. Mostrare amore incondizionato e accettazione, senza fare pressione, è uno dei modi più efficaci per aiutarlo.

Un atto di coraggio e amore

Parlare di autolesionismo con tuo figlio è uno dei gesti più coraggiosi e amorevoli che puoi fare. Non importa quanto possa sembrare difficile, ricorda che la tua presenza, le tue parole e il tuo ascolto possono fare la differenza.

Sei pronto a iniziare questa conversazione? Quali altre domande hai?

Parlare di autolesionismo con i figli può essere difficile, ma con l'aiuto di uno psicologo puoi affrontare questo tema delicato con sicurezza e sensibilità.

Sul nostro portale trovi professionisti qualificati, disponibili online e in presenza, pronti a supportarti in questo importante percorso di dialogo e comprensione.