I disturbi del comportamento includono condotte disfunzionali considerate socialmente inappropriate tra cui l’aggressività, l’impulsività, la sfida e la violazione delle regole e, poiché la persona che li agisce dirige il disagio percepito verso l’esterno, vengono definiti “esternalizzanti”.
Questa tipologia di disturbi colpisce perlopiù la popolazione maschile durante l’età prescolare, anche se è opportuno precisare che tali accessi comportamentali possono verificarsi in modo isolato e temporaneo, ad esempio quando sono legati a specifiche situazioni o alla particolare fase di sviluppo in cui si trova il bambino, talora possono rappresentare i primi segnali di insorgenza di un disturbo del comportamento.
Non solo rappresentano un carico notevole per tutto il contesto familiare, ma comportano soprattutto ripercussioni e gravi costi sociali a causa dell’elevato tasso di correlazione con azioni antisociali (aggressioni fisiche, raggiro, manipolazione) e crimini.
È più probabile che tale scenario si realizzi sia quando l’esordio del disturbo è particolarmente precoce sia se non si interviene tempestivamente lasciando che il quadro patologico si consolidi.
Dapprima all’interno della realtà domestica con provocazioni indirizzate a genitori, fratelli, nonni e a tutti coloro che gravitano attorno alla sfera di sviluppo del bambino, dopodiché si estende a diversi livelli individuali e contestuali, ad esempio coinvolgendo compagni di scuola o insegnanti.
Se non si agisce per tempo verranno a crearsi in maniera costante relazioni fatte di provocazioni e risposte aggressive.
Quali sono i disturbi del comportamento?
Nel DSM-5 sono classificati come disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta (nel caso del disturbo oppositivo-provocatorio) e disturbi del neurosviluppo (disturbo da deficit dell’attenzione con iperattività – ADHD e DDAI) e, ad oggi, rappresentano una delle maggiori sfide sul piano clinico e educativo, in modo particolare in riferimento al contesto scolastico e alla sua molteplice valenza formativa, didattica, educativa e sociale (Amatori, 2020).
Sulla base di alcune ricerche internazionali condotte sul deficit di attenzione con iperattività, si stima una presenza a livello mondiale intorno al 5,7% della popolazione.
Gli effetti di tali disturbi si ripercuotono sulla qualità delle relazioni del bambino e sulla capacità di mantenere un comportamento socialmente accettabile all’interno dei vari contesti: scolastici (scarso rendimento, deficit d’attenzione, fallimento scolastico, espulsione), familiari (conflittualità verbale e aggressività fisica) e sociali (abbandono scolastico, inserimento in gruppi dissociali ed emarginazione). Per questi motivi tali disturbi sono considerati ad elevato costo sociale (Tambelli, 2017).
Fattori di rischio
I fattori che normalmente compartecipano all’insorgenza dei disturbi del comportamento hanno diversa natura: caratteristiche psicologiche e costituzionali del bambino, il legame di attaccamento, lo stile educativo e variabili ecologiche; nello specifico troviamo:
- Vulnerabilità biologica e neurale (come bassi livelli di serotonina, alti livelli di cortisolo e bassa frequenza cardiaca a riposo);
- Deficit neurocognitivi (come deficit nelle funzioni esecutive);
- Difficoltà di processamento delle informazioni sociali;
- Vulnerabilità temperamentali (ridotta regolazione emotiva, impulsività);
- Fattori di rischio legati alla fase prenatale (esposizione a tossine durante la gravidanza) e perinatale (scarsa qualità delle cure subito dopo il parto);
- Stile educativo genitoriale coercitivo;
- Stile di attaccamento insicuro o disorganizzato tra bambino e adulto di riferimento;
- Conflitti all’interno del contesto familiare;
- Esposizione ad atti violenti, maltrattamenti o situazioni di abuso (https://www.istitutobeck.com/disturbi-del-comportamento).
Con buona probabilità, i modelli familiari e sociali con cui il bambino ha a che fare sono gli elementi più predittivi, tra quelli appena citati, per valutare il rischio di insorgenza di queste patologie.
I genitori dei bambini affetti da disturbi comportamentali, infatti, si dimostrano frequentemente soggetti con problemi di abuso di sostanze, disturbi psichiatrici (prevalentemente depressione), si contraddistinguono per comportamenti antisociali, carenza affettiva, modelli educativi rigidi e autoritari o assenti o frustranti.
Una grave indisponibilità affettiva dei caregiver può compromette, la capacità del bambino di comprendere i propri stai emotivi e quelli altrui; se poi vi fossero la presenza di modelli familiari violenti, il bambino, una volta appresi, li potrebbe riproporre all’esterno del proprio nucleo come modalità relazionale privilegiata.
Come riconosciamo i disturbi del comportamento
Per formulare una diagnosi di questo tipo è necessario che i sintomi compaiano prima dei 7 anni di età e che gli effetti dannosi del disturbo siano riscontrabili in almeno due contesti, per esempio a casa e a scuola, e che sorgano evidenti compromissioni nell’adempimento dei compiti sociali, scolastici e lavorativi.
La scuola rappresenta un contesto privilegiato per un’attenta osservazione dei comportamenti problematici, infatti, troviamo un’alta correlazione tra questi ultimi e le attività didattiche: per esempio, bambini con diagnosi di disturbo del comportamento o ADHD generalmente incontrano molte difficoltà a focalizzarsi sui propri bisogni e sulle istruzioni fornitegli dall’insegnante.
Quasi sempre danno l’impressione di non ascoltare, sono disorganizzati, hanno difficoltà motorie, nella scrittura, nello svolgimento di compiti assegnati a scuola che necessitano di pianificazione e di sforzi prolungati, si distraggono con estrema facilità e faticano a memorizzare le informazioni.
Ci sono bambini che mostrano irrequietezza, impulsività verbale e fisica, incapacità di rispettare i propri turni (durante giochi e conversazioni) e totale non curanza delle conseguenze generate dai loro comportamenti.
Quindi, per individuare i segnali di un’eventuale genesi di un disturbo del comportamento è necessaria la stretta collaborazione tra personale scolastico e psicologi, al fine di produrre resoconti accurati sullo stato di salute dei bambini ed evitare di ricorrere a diagnosi frettolose.
I bambini con ADHD sono percepiti dai propri compagni di classe come non collaborativi in situazioni gruppali, intrusivi, invadenti, aggressivi e provocatori, caratteristiche che li rendono soggetti al rischio di esclusione da parte degli altri alunni ritardando, di conseguenza, l’assimilazione di adeguate norme sociali.
Con il tempo si instaurano schemi comportamentali che impediscono al bambino di inserirsi positivamente nell’ambiente sociale in cui è immerso, quali ostinazione, inosservanza delle regole, la prepotenza, instabilità umorale, incapacità di tollerare la frustrazione, accessi d’ira e bassa autostima.
Come intervenire
Sintetizzando, i bambini con disturbi comportamentali presentano una significativa compromissione della capacità di controllo degli impulsi, del mantenimento dell’attenzione e di gestione dell’emotività.
Per pianificare un intervento efficace bisogna tener conto della varietà di quadri clinici riscontrabili e che alla base del comportamento impulsivo e dirompente troviamo: bassi livelli di autostima, significative compromissioni nell’autocontrollo emotivo e nella formulazione di comportamenti adeguati al contesto sulla base dei segnali sociali percepiti
In virtù di ciò, ogni intervento deve essere elaborato a seconda delle caratteristiche con cui il disturbo si presenta e delle specificità proprie del bambino e del contesto in cui vive; quindi, dopo un’accurata valutazione psicologica, segue un percorso terapeutico nel quale si fa leva sui diversi fattori protettivi del bambino: personali, familiari, amicali e scolastici.
I programmi di sostegno alla genitorialità rivolti a famiglie immerse in contesti di aggressività e violenza prevedono:
- Informare sul disturbo;
- Insegnare strategie per gestire il problema;
- Migliorare comunicazione e aumentare il livello di consapevolezza emotiva;
- Aiutare i genitori a controllare le proprie emozioni così da evitare reazioni inappropriate (punizioni dure e costanti) che potrebbero peggiorare la situazione;
- Trattamento delle patologie di cui potrebbero essere affetti i membri della famiglia;
- Aiutare i genitori a riconoscere gli aspetti della relazione che innescano spirale aggressiva (Tambelli, 2017).
Altrettanto decisiva è la collaborazione tra il clinico e il sistema scolastico che ospita il bambino, il cui fine è il trasferimento di informazioni sul disturbo e strategie utili al contenimento e alla gestione della rabbia.
Il successo delle attività didattiche e la promozione dei percorsi inclusivi sono in gran parte determinate dall’atteggiamento positivo degli insegnanti nei confronti degli alunni affetti da disturbo del comportamento: se il corpo docente risponde alle provocazioni con atti vendicativi, coercitivi o punitivi non farà altro che alimentare il circolo provocazione-reazione cominciato dal bambino; autoregolazione delle emozioni, dei pensieri e del comportamento, tecniche di apprendimento e studio, attività routinarie e strutturate e organizzazione dei tempi di lavoro sono solo alcune dei metodi utilizzabili per la gestione di questi bambini.
Sitografia
- https://www.istitutobeck.com/disturbi-del-comportamento
- https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/pediatria/disturbi-psichiatrici-nei-bambini-e-negli-adolescenti/disturbo-della-condotta
Bibliografia
- Amatori G. (2020), I disturbi del comportamento a scuola: uno studio pilota sulla percezione dei docenti, in «L’integrazione scolastica e sociale», 19 (2), pp. 101 – 119;
- Antonietti A. – Borgatti R. – Giorgetti M. (2020), Cambiare paradigma per i disturbi del neurosviluppo? Dalla ricerca alla pratica clinica, in «Ricerche di Psicologia», 45, pp. 1 – 12;
- Marzocchi G. M. – Cornoldi C. (2000), Una scala di facile uso per la rilevazione dei comportamenti problematici dei bambini con Deficit di Attenzione e Iperattività, in «Psicologia clinica dello sviluppo», 4 (1), pp. 43 – 63;
- Tambelli R. (2017), Manuale di psicopatologia dell’infanzia, il Mulino, Bologna.

