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Giornata contro la violenza sulle donne
- Psicologia e Territorio
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Il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, la data ricorda il massacro di tre sorelle e apre i 16 giorni di attivismo contro la violenza di genere che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani del 10 dicembre.
La violenza di genere comprende gli abusi su persone discriminate in base al loro sesso di appartenenza. Tali forme di violenza vanno da quella economica, psicologica, fisica, sessuale agli atti persecutori come lo stalking, fino allo stupro e all’omicidio.
I dati relativi alla violenza sulle donne pubblicati dall’ISTAT registrano un andamento stazionario negli anni del numero degli omicidi di donne, che per il 2021 è stato di 119 di cui 104 sono stati stimati come femminicidi, ovvero omicidi caratterizzati dall’odio di genere che indica che gli autori di tali crimini hanno un pregiudizio specifico nei confronti delle donne.
La violenza di genere: un rischio per tutti
L’espressione più diffusa della violenza di genere è la violenza domestica, un problema sociale importante perché costruisce un muro che isola le vittime permettendo agli autori dei reati di genere di compiere i loro crimini.
Secondo l’OMS (2014) la violenza contro le donne ha ricadute sulla sanità pubblica di tutti, in quanto: “La violenza può portare a problemi di salute fisica, mentale, sessuale, riproduttiva e di altra natura”.
Le ripercussioni della violenza di genere non risparmiano nemmeno i bambini che crescono in nuclei familiari violenti, per cui si registrano:
- tassi più elevati di mortalità neonatale ed infantile (ad esempio, malattie diarroiche e malnutrizione);
- disturbi comportamentali ed emotivi, che possono anche essere associati alla tendenza a commettere o subire violenza più avanti nella vita.
Violenza sulle donne: la testimonianza di chi è riuscita a vincere
Tra le donne che hanno trovato il coraggio di raccontare la loro storia c’è anche E.
E. è una giovane donna italiana che ha frequentato le scuole superiori intorno agli anni 2000, che racconta di essersi sentita attratta da un ragazzo totalmente diverso da lei, che descrive come “il classico cattivo ragazzo, quello che pensa lui a farsi rispettare prendendo di petto le situazioni”.
Quando E. scopre di essere incinta entrambi decidono di andare a convivere. Durante la convivenza iniziano le prime forme di violenza domestica: minacce, anche con l’uso di coltelli, intimidazioni di morte, pugni.
E. decide di andarsene rifugiandosi presso la sua famiglia d’origine, ma il suo ex-partner continua a perseguitarla, estendendo la violenza anche al suo nucleo familiare e strumentalizzando il figlio di circa 5 anni per denigrare il ruolo di madre di E., usandolo come dimostrazione dell’inadeguatezza della donna.
La svolta arriva dopo un inseguimento subito da E., che trova la forza di rivolgersi alle forze dell’ordine sapendo che a fine giornata avrebbe trovato il suo ex-partner sotto casa. In effetti così avvenne, ma in quel caso ad affrontare l’uomo non era più da sola ma scortata dai carabinieri che ne hanno assicurato la sicurezza. Il giorno dopo E. tornò dalle forze dell’ordine per depositare la denuncia.
Da qui l’inizio di una fase che E. definisce come “burrascosa”, un importante momento di dolore in cui si rende conto, inizia a prendere consapevolezza, di essere vittima di violenza.
Come accorgersi di essere vittime di violenza?
Quando E. racconta il suo percorso di consapevolezza e cambio di prospettiva, descrive come inizia a percepirsi diversamente da come si è considerata nel tempo: non più la donna amata dall’uomo “forte” ed impulsivo che è “dolce” solo con lei, che solo lei sa ammansire, ma la vittima circuita del carnefice violento.
Il cambio di percezione del proprio sé è causa di dolore: la donna passa dal considerarsi in una posizione di soggetto a una di oggetto usato. Sentendosi responsabile delle azioni altrui, è invasa da un forte senso di vergogna. Si tratta tuttavia di una sensazione di responsabilità deviata da bias psicologici che sono distorsioni nelle valutazioni degli avvenimenti. Questo perché la vittima non è un soggetto attivo, e quindi responsabile, all’interno della relazione.
Al contrario: la violenza domestica innesca una dinamica di oggettivazione della vittima attraverso cui la donna viene privata della propria capacità di pensiero, parola ed azione attraverso una progressiva denigrazione dell’identità, fino al suo annientamento psicologico prima ancora che fisico.
Per questo è fondamentale non essere da sole per riuscire a fermare la spirale di violenza: raccontare a un esterno alla coppia gli episodi di tensione e conflitto, ascoltare un diverso punto di vista può permettere di capire se si sta vivendo in un contesto violento.
Attraverso il dialogo con l’altro la vittima esce dalla posizione in cui subisce per adottarne una da cui osserva, e questo le permette di elaborare razionalmente e non emozionalmente quanto sta accadendo, perché noi capiamo non solo con la mente, ma anche col cuore e questo può portare a confusioni nell’interpretazione degli eventi, se ci troviamo immersi in dinamiche relazionali disfunzionali.
Nei percorsi di sostegno psicologico e psicoterapia, che avvengono in un contesto di accoglienza e comprensione, si percorre con le vittime di violenza un percorso di consapevolezza creando uno spazio di parola capace di narrare diversamente quello che è stato subito per curare un’identità ferita, che progressivamente impari ad immaginare come riacquisire la libertà per poter tornare a respirare.
Gli effetti psicologici della violenza
L’uomo è un animale relazionale: i neonati della nostra specie non sopravvivono se non vengono accuditi (Spitz, 1945; Spitz, 1946). Si sviluppano così in un ambiente sociale che dà forma al loro modo di relazionarsi con sé stessi e gli altri sulla base dei vissuti appresi durante l’infanzia (Bowlby, 1988). Nella relazione vari sono i registri comunicativi adottabili, tutti funzionali all’espressione del sé.
Tra questi vi è anche l’aggressività, che indica una disarmonia da non trascurare, perché se ignorata può intensificarsi e sfociare in agiti violenti verso il partner: la violenza non è un comportamento improvviso ed inspiegabile, ma l’apice di una serie di soprusi all’interno della relazione di coppia. Le brutalità iniziano spesso gradualmente e sono da ricercare nelle parole, nei gesti che progressivamente rendono la vittima dipendente affettivamente da una sola persona che le dà amore e odio in una relazione totalizzante che ha come conseguenze sulla vittima:
- l’isolamento;
- il depotenziamento dell’identità;
- la distruzione dell’autostima.
Così facendo si rende la donna incapace di rendersi conto di quello che sta accadendo e di denunciare, indebolendone la voce ed impedendone la capacità di parola prima delle possibilità di azione e difesa.
In tal senso è importante la testimonianza di molestia della docente universitaria Marzano che racconta il proprio vissuto di vittima di abuso, caratterizzato da un forte senso di colpa, dal ricorrente chiedersi cosa si è fatto per provocare un tale gesto e “permettere” che si ripeta nel tempo. Ci si sente non ascoltati, invisibili, pervasi da un sentimento di silenzio, e in queste specifiche condizioni è difficile trovare la voce e la forza di rivolgersi ai luoghi di tutela.
A chi parlarne: ogni donna non è sola
A livello nazionale esiste una rete di sostegno ed intervento costituita da vari organismi tra loro interconnessi:
- il 1522: numero nazionale antiviolenza attivo 24 ore su 24, che risponde in 11 lingue tutti i giorni dell’anno e a cui ci si può rivolgere tramite app, chat, telefonando o dal sito internet;
- i Centri antiviolenza: luoghi d’accoglienza ed informazione che guidano le donne lungo un percorso di uscita dalla SPIRALE della violenza;
- le Case Rifugio: strutture in grado di ospitare e mettere in protezione donne in pericolo, anche coi loro figli.
L’urgenza di una rivoluzione culturale per donne e uomini
A livello internazionale bisogna aspettare il 2014 per l’entrata in vigore del primo strumento giuridicamente vincolante: la Convenzione di Instanbul, che tutela le donne e riconosce la violenza nei loro confronti come una violazione dei diritti umani.
In Italia la legge sul divorzio è stata approvata nel 1970, paradossalmente solo undici anni dopo si abolisce il delitto d’onore che riconosceva nel comportamento della donna il movente del delitto compiuto, attenuandone quindi la condanna perché riteneva, giustificandoli, che gli autori fossero stati provocati dall’offesa al proprio onore.
Bisogna rivoluzionare questo retaggio culturale che fa sì che la violenza di genere venga percepita come reazione ad un comportamento (o non-comportamento) della donna per far sì che gelosia, possesso e l’isolamento vengano percepiti come indici di una pericolosa limitazione della libertà e dei diritti umani.
È necessario lavorare sulla prevenzione:
- introducendo modelli educativi diversi con campagne culturali che rivoluzionino i ruoli sociali e familiari di uomini e donne, per insegnare a bambini ed adolescenti il rispetto di sé e degli altri;
- formando sistematicamente le istituzioni;
- accompagnando la cittadinanza verso l’evoluzione dei modelli relazionali che portino a donne indipendenti e ad uomini che sappiano esprimere i propri sentimenti ed emozioni, comprendendo anche quelli dell’Altra.

Autrice
Dott.ssa Alessia Meloni
Psicologa
Iscrizione albo: Veneto nr. 11308