È possibile essere davvero bravi nel proprio lavoro ma sentirsi infelici ogni giorno? La risposta è sì, ed è un’esperienza che accomuna moltissime persone che vivono questa contraddizione: da un lato ottengono risultati riconosciuti, ricevono complimenti, gestiscono responsabilità, dall’altro percepiscono un senso di vuoto, sono privi di entusiasmo e di motivazione.

Se provi questa sensazione, non significa che stai facendo qualcosa di sbagliato ma che, a volte, la competenza professionale e la soddisfazione personale non sempre camminano insieme.

La dott.ssa Robino ci spiega perché accade, come distinguere i diversi tipi di malessere e quali strategie realmente funzionano, sia che tu decida di restare, sia che tu scelga di cambiare lavoro.

È normale non amare il proprio lavoro anche se si è bravi?

Sì, è possibile. Non solo. È così comune che, molto probabilmente, conosci qualcuno nella tua situazione, anche se pochi ne parlano apertamente.

La bravura nel fare un lavoro dipende dalle tue competenze tecniche, dall'esperienza, dalla capacità di risolvere problemi. La soddisfazione, invece, deriva da fattori completamente diversi: il significato che trovi in quello che fai, il riconoscimento che ricevi, l'allineamento con i tuoi valori personali, la libertà di essere creativo, il clima umano attorno a te.

Perché possiamo essere competenti ma infelici nel lavoro?

Può capitare di essere molto bravi in un lavoro e sentirsi comunque infelici. Per chiarire questo concetto, ti cito alcuni esempi: un bravo commerciante che odia la competitività, un programmatore travolto da riunioni inutili, un infermiere inghiottito dalla burocrazia. Bravura e soddisfazione sono alimentate da fonti diverse e la competenza non significa automaticamente benessere psicologico.

Quali fattori psicologici influenzano l'insoddisfazione lavorativa?

L'insoddisfazione nasce da più elementi, che non sono solo personali.

Fattori interni: mancanza di motivazione profonda, stress accumulato, scarsa autonomia decisionale, sentimento di invisibilità, perdita di senso.

Fattori esterni: clima aziendale tossico, leadership inefficace, carico eccessivo di lavoro, mancanza di riconoscimento, ghosting, valori organizzativi in conflitto con i tuoi.

Ti segnalo che, spesso, si tratta di una combinazione di fattori, con esiti diversi. Per esempio, si può percepire un lavoro come poco stimolante in un'azienda accogliente, oppure, si può trovare un lavoro interessante in un ambiente ostile.

È possibile imparare ad amare un lavoro che non ci piace?

Non esiste un’unica risposta e molto dipende dalla natura del disagio.

Se intuisci che il problema è la noia da monotonia, puoi cercare sfide diverse e nuovi progetti. Se lo stress viene da sovraccarico, puoi negoziare il carico e riorganizzare le priorità. Suggerisco sempre piccoli passi: cambiare approccio, introdurre nuove abitudini, cercare significato.

Ma se il malessere è profondo e dunque il lavoro contraddice chi sei, se i valori dell'azienda sono opposti ai tuoi, allora recuperare entusiasmo è davvero difficile e forzarsi diventa estenuante.

La domenica sera ti assale l'ansia per il lunedì? Scopri come un percorso psicologico può aiutarti a ritrovare motivazione sul lavoro.

Cosa significa restare in un lavoro che non piace?

Restare in un lavoro che non ami è una scelta che molti compiono, con ragioni spesso molto concrete. Non è un fallimento: è una valutazione consapevole di pro e contro.

Quali vantaggi ci sono nel restare in un lavoro che non ci piace?

Cominciamo dagli aspetti positivi, perché esistono e sono reali.

La sicurezza economica è il primo: uno stipendio stabile è fondamentale se hai delle responsabilità familiari, un mutuo da pagare o il bisogno di non vivere nell'incertezza.

Ci possono essere anche altri vantaggi, come la possibilità di crescere internamente, le competenze che acquisisci, la rete professionale, i benefit conquistati.

Inoltre, restare ti dà tempo per pianificare un cambiamento ponderato, anziché fuggire in preda alla rabbia o al panico. Puoi studiare, aggiornarti, esplorare nuove strade mantenendo una base stabile.

Quando restare diventa dannoso per il benessere psicologico?

Ma c'è un confine. Oltre quel confine, restare inizia a farti male, psicologicamente e fisicamente.

Occorre fare attenzione ai segnali di pericolo: stress cronico che non scompare nel fine settimana, disturbi del sonno ricorrenti, ansia che sale già la domenica sera, perdita di energia generale, difficoltà a concentrarsi su altre cose della tua vita, sentimenti di invisibilità o inutilità, irritabilità crescente, problemi digestivi o altri sintomi fisici.

Questi non sono solo disagi passeggeri. Sono il corpo e la mente che ti dicono che c’è una sofferenza a cui dare ascolto. Se ignori questi segnali per mesi o, addirittura, anni, il danno può diventare più profondo e possono comparire esaurimento professionale, depressione e perdita di fiducia in te stesso.

Come distinguere tra noia, stress e malessere profondo?

È importante chiarire il concetto, perché la natura del tuo disagio può orientare la soluzione.

La noia è l'assenza di stimoli: il lavoro è ripetitivo, non impari nulla di nuovo, ti senti annoiato ma non disperato.

Lo stress è il sovraccarico: troppi compiti, scadenze impossibili, richieste eccessive. È pressione costante che comunque "potrebbe" migliorare.

Il malessere profondo è diverso: non è il quanto lavori, ma il perché lavori. È il sentimento che il tuo lavoro non rappresenta chi sei, che contraddice i tuoi valori, che non ha senso per te. È più silenzioso dello stress, ma più radicale.

Distinguerli aiuta a decidere cosa fare: la noia spesso migliora con piccoli cambiamenti; lo stress richiede negoziazione, mentre il malessere profondo necessita di decisioni più importanti.

Quando è giusto cambiare lavoro?

Se senti che qualcosa deve cambiare nel tuo rapporto con il lavoro e se ti chiedi se è il caso di modificare il tuo approccio, oppure, cercare una nuova occupazione, vorrei suggerirti alcune domande che puoi porti.

Come capire se mollare un lavoro è la scelta giusta?

Poni a te stesso queste domande e cerca di rispondere in maniera sincera:

Sto imparando ancora? Se la risposta è no da più di un anno, il lavoro non ti sta facendo crescere.

Mi sento valorizzato? Il tuo contributo viene riconosciuto? Ti senti importante, o invisibile?

I miei valori e il lavoro camminano insieme? Se credi in cose che il lavoro contraddice, c'è un conflitto e questo conflitto consuma un grande carico di energia.

Sto sacrificando la mia salute? Non solo quella fisica, anche il sonno, le relazioni, il tempo libero, il benessere mentale.

Ho ancora speranza? Riesci a vedere una possibilità di miglioramento, o senti solo rassegnazione?

Se la maggior parte delle risposte è no, allora cambiare rappresenta una scelta di cura verso te stesso.

Quali segnali indicano che è tempo di cambiare lavoro?

Ci sono numerosi segnali fisici e comportamentali che il corpo avverte:

  • Ansia costante legata al lavoro
  • Mancanza totale di motivazione
  • Malessere fisico ricorrente
  • Isolamento dalle persone che ami
  • Disallineamento profondo con i valori dell'azienda
  • Noia che non migliora mai
  • Sensazione di non vivere appieno

Che ruolo hanno i valori personali e l'identità professionale?

Spesso il malessere nasce proprio da un problema valoriale. La tua identità professionale, ovvero, il senso di chi sei come professionista, influisce profondamente sul benessere. Quando il proprio lavoro stride con l'identità personale, la sofferenza non rimane in superficie ma penetra nelle questioni fondamentali dell'esistenza.

Cosa posso fare se non mi piace il mio lavoro?

È importante chiarire che non è necessario decidere subito cosa fare. Esistono strategie che prevedono piccoli passi pratici per affrontare l'insoddisfazione anche mentre continui a lavorare.

Quali strategie psicologiche aiutano ad affrontare l'insoddisfazione lavorativa?

Cominciamo con strumenti di auto-gestione.

La mindfulness è utile per ridurre l'ansia: pochi minuti al giorno di respirazione consapevole calma il sistema nervoso.

Il journaling (scrivere i tuoi pensieri) aiuta a chiarirsi in presenza di confusione mentale. Puoi scrivere, ad esempio: cosa mi è mancato oggi? Cosa mi ha fatto sentire vivo?

La gestione dello stress concreta: stabilisci limiti, prendi pause reali, fai movimento anche per pochi minuti al giorno, crea una routine per il riposo.

La ridefinizione degli obiettivi: anche se non puoi cambiare il lavoro oggi, puoi cominciare a riflettere su cosa cerchi da esso.

Come trovare nuove motivazioni senza cambiare subito lavoro?

Spesso la motivazione ritorna modificando prospettiva.

Puoi riflettere per capire se c'è spazio per sfide diverse dentro il tuo ruolo attuale. Se ne hai la possibilità, condividi con il manager il tuo bisogno di sperimentare qualcosa di nuovo nell’ambito del lavoro.

Inoltre, puoi seguire un corso su un argomento che ti interessa in modo particolare. Questo non solo migliora le competenze, ma ti riconnette con l'apprendimento e con la crescita professionale.

Ancora, inizia un progetto personale, qualcosa al di fuori del lavoro, un'attività creativa, utile. Spesso, una vita lavorativa grigia può diventare tollerabile se bilanciata con qualcosa che ami veramente.

Cosa fare se non posso cambiare lavoro immediatamente?

Anche se sei economicamente vincolato, se hai scadenze importanti da rispettare, se il mercato del lavoro è difficile, puoi comunque iniziare ad agire.

Pianifica il cambiamento: stabilisci una timeline realistica. “Cosa devo imparare?” “Quanti risparmi mi servono?” Avere un piano riduce l'ansia di sentirsi intrappolati.

Costruisci nuove competenze: usa il tempo presente per prepararti. Frequenta corsi, espandi la tua rete professionale. Quando arriverà il momento, sarai pronto.

Tutela il tuo benessere: sport, terapia, tempo con chi ami e per attività ricreative: questo è prioritario, altrimenti la sofferenza aumenta.

Quando può essere utile chiedere supporto psicologico per il lavoro?

Chiedere aiuto non è affatto una debolezza, anzi!

Uno psicologo può aiutarti a chiarire cosa vuoi davvero, a gestire l'ansia legata alle decisioni importanti, a rafforzare l'autostima, a pianificare il cambiamento senza affanno.

Se il tema del benessere lavorativo e della valorizzazione professionale ti riguarda, leggi il nostro articolo su come ottenere riconoscimento sul lavoro e migliorare l'autostima.

Se senti di aver bisogno di aiuto in questo percorso di riflessione e decisione, non esitare a contattarci per consulenze personalizzate. Un professionista può accompagnarti nel processo di comprensione, non per indicarti la strada da percorrere, ma per sostenerti nel trovare la direzione più autentica per te.

Bibliografia

  • Borgogni, L. (2005). Psicologia della salute occupazionale. Raffaello Cortina Editore.
  • Sarchielli, G., & Fraccaroli, F. (2012). La psicologia del lavoro e dell'organizzazione. Il Mulino.

Domande frequenti sul lavoro che non ci piace

Come faccio a capire se il mio disagio viene dal lavoro o da qualcosa di personale?

A volte il malessere sembra “lavorativo” ma nasce da stress generalizzato, mancanza di riposo o periodi complicati della vita. Una buona domanda-guida è: “Sto male solo quando penso al lavoro o questo stato si estende anche ai weekend, alle relazioni e alla quotidianità?”. Se il disagio diminuisce appena sei lontano dal contesto lavorativo, è probabile che la radice sia prevalentemente professionale. Se invece è costante ovunque, può trattarsi di un sovraccarico emotivo più ampio che merita attenzione specifica.

Quanto tempo è ragionevole restare in un lavoro che non mi piace prima di cambiare?

Non esiste una durata “giusta” valida per tutti. Il criterio più affidabile non è il tempo trascorso, ma la tendenza: se il malessere peggiora, se i segnali fisici aumentano o se il senso di vuoto è stabile, restare troppo a lungo può avere un impatto sul benessere psicologico. Se invece stai costruendo competenze, risparmi o un piano concreto di transizione, la permanenza può avere un senso strategico. L’importante è evitare due rischi opposti: la fuga impulsiva e l’immobilismo dannoso.

È meglio cambiare lavoro subito o preparare un piano di uscita più lento?

Dipende dalla combinazione fra tre fattori: intensità del malessere, stabilità economica e grado di rischio che puoi sostenere. Un cambio immediato è sensato solo se il contesto è tossico o mina la salute. In tutti gli altri casi funziona meglio un approccio “a doppio binario”: continui a lavorare mentre costruisci competenze, rete professionale e margine economico. Questo riduce l’ansia, aumenta la lucidità e previene il pentimento dovuto alla fretta.

Come evitare di pentirmi di aver cambiato lavoro?

Il rimpianto nasce spesso quando la decisione è emotiva e poco fondata sui valori personali. Prima di fare il passo, chiarisci cosa ti manca oggi e cosa cerchi davvero: autonomia, riconoscimento, equilibrio, sfida. Se la scelta è guidata solo dalla fuga dal disagio, il rischio di pentirsene aumenta. Se invece è guidata da una direzione interiore – valori, identità professionale, tipo di vita che vuoi – la probabilità di fare un passo giusto cresce in modo significativo.

Come posso parlare al mio manager del mio malessere senza compromettere la mia posizione?

Prepara la conversazione con un approccio non accusatorio: punta sulle esigenze, non sulle lamentele. Ad esempio, “Vorrei parlare di come posso rendere al meglio” è più efficace di “Non ce la faccio più”. Porta proposte concrete: riduzione del carico in alcuni periodi, nuovi progetti, maggiore autonomia, formazione. Mostra che vuoi contribuire meglio, non che vuoi sottrarti. Questo approccio è percepito come maturo e professionale, non come un segnale di fragilità.

Dare un nome al malessere che provi sul lavoro ti aiuta a distinguere noia, stress e qualcosa di più profondo.

Se ti senti bloccato in un lavoro che non ti rappresenta più, professionisti qualificati possono guidarti a capire cosa desideri davvero.